Diversi anni fa il mio ex lavorava in Scozia e lo chiamavo la sera prima di cena da una cabina telefonica, per non trovare cifre troppo alte sulla bolletta di casa.
Per arrivare alla cabina devo salire due scalinate: la prima è proprio davanti a casa mia, la seconda comincia dopo una via da attraversare.
Una sera di settembre avevo salito la prima rampa di scale e iniziato a salire la seconda, quando dietro me, vicinissimo, all'improvviso ho sentito un tintinnio di chiavi.
Prima che potessi realizzare che qualcuno era sbucato da non so dove e mi stava alle costole, mi hanno spinto con forza un braccio tra le gambe, da dietro a davanti, e una mano sull'inguine, impedendomi di muovermi. Ho fatto in tempo a voltarmi - mi è uscito un urlo strozzato - e a evitare che mi tappassero la bocca con la mano. Ho intravisto un tipo bruno, vestito di scuro, che è corso via velocemente giù per le scale, forse spiazzato dal non essere riuscito a tapparmi la bocca.
Per lo shock non riuscivo a camminare né a respirare: mi sono appoggiata a una rete cercando di aggrapparmici. Temevo di cadere, le gambe non mi reggevano. L'adrenalina fa brutti scherzi. Mi sono imposta di respirare a fondo e dopo un po' ho ripreso il controllo.
Alle sette di sera a settembre non è buio pesto, ero in jeans e maglietta di cotone con maniche lunghe, scarpe basse, niente trucco, a meno di cento metri da casa mia, in città, non lontana da altri due palazzi, eppure è successo.
Mio padre mi ha accompagnato in Questura. Ho esposto sommariamente il fatto e poi - devo dire che non mi aspettavo tanta sensibilità - mi hanno mandato da una sergente, una donna. Mi ha chiesto se avevo lesioni. Ero confusa. Mi sentivo sporca. Ho risposto che no, che pur avendo subito un'aggressione, ero stata fortunata, che non sapevo quel che dovevo fare, non essendo ferita. Lei mi ha detto che non era giusto in ogni caso che qualcuno mi avesse messo le mani addosso. Ho sporto denuncia.